SAMI ZUBAIDA SULLA TURCHIA

Pubblichiamo alcune interviste rilasciate a ilmanifesto da Sami Zubaida, sto­rico dell’Università di Birc­k­beck, che riteniamo possano aiutare a capire le complesse dinamiche politiche in Turchia e nel Medio Oriente. Sami Zubaida è autore di testi impor­tanti per la com­pren­sione del Medio Oriente, tra que­sti citiamo “Islam, il popolo e lo stato: idee poli­ti­che e movimenti.”

13.10.2015«Ankara tra golpe e governo di coalizione»

Dopo i gravi atten­tati di Ankara. Qual è la stra­te­gia di Erdo­gan in vista del voto del primo novem­bre?

Col­pire i kurdi in ter­mini elet­to­rali gal­va­nizza i nazio­na­li­sti tur­chi e potrebbe far aumen­tare i voti del par­tito di Erdo­gan (Akp). Que­sta stra­te­gia sta sfug­gendo di mano e potrebbe non fun­zio­nare. Il Par­tito demo­cra­tico dei Popoli (Hdp) potrebbe mostrarsi come vit­tima del ter­ro­ri­smo di stato. Non biso­gna mai sot­to­sti­mare però il sen­ti­mento anti-kurdo tra i nazio­na­li­sti tur­chi con­trari a qual­siasi tipo di sepa­ra­zione o auto­no­mia dei kurdi. Que­ste esplo­sioni non dimi­nui­scono il sen­ti­mento anti-kurdo nell’elettorato nazio­na­li­sta. Negli anni pas­sati anche la sini­stra nazio­na­li­sta ha sedi­men­tato un sen­ti­mento anti-kurdo. E così il nazio­na­li­smo turco è anti-kurdo anche a sini­stra e vede nella forza di Hdp una minac­cia all’unità ter­ri­to­riale turca.

Chi sono i veri respon­sa­bili degli atten­tati di Ankara: ele­menti di Akp con lo stato pro­fondo (inclusi i Ser­vizi segreti)?

È pos­si­bile. La sola cer­tezza fin qui è che si sia trat­tato di un atten­tato sui­cida. Se fosse com­pleta respon­sa­bi­lità dello Stato isla­mico (Isis) ci sarebbe già stata una riven­di­ca­zione. D’altra parte, è pos­si­bile che si sia trat­tato di un’azione con­giunta delle forze di sicu­rezza e dello stato pro­fondo. Eppure non è cre­di­bile che que­sti ele­menti col­pi­scano loro stessi come è avve­nuto ad Ankara. A mio avviso, le respon­sa­bi­lità devono essere ricer­cate tra gli isla­mi­sti turchi.

Come nelle spa­ra­to­rie di Diyar­ba­kir dello scorso giu­gno potrebbe essere respon­sa­bi­lità degli Hez­bol­lah kurdi?

Gli Hez­bol­lah kurdi sono for­te­mente con­trari a Pkk e Hdp. Sono anni che assas­si­nano e attac­cano kurdi laici e di sini­stra. Se lo stato pro­fondo e Akp sono coin­volti in que­sto atten­tato, lo hanno orga­niz­zato in coo­pe­ra­zione con isla­mi­sti radi­cali, come Hez­bol­lah. Non avreb­bero potuto fare da soli.

Que­sti attac­chi potreb­bero raf­for­zare la base elet­to­rale di Hdp in vista del voto?

Ormai Hdp è diven­tato il rifu­gio per ogni turco laico, libe­rale e di sini­stra, con­tra­rio ad Erdo­gan. I kurdi con­ser­va­tori che prima vota­vano per Akp ora votano per Hdp. Una parte cen­trale del voto che ha per­messo la vit­to­ria elet­to­rale (del par­tito filo-kurdo, ndr) il 7 giu­gno scorso è venuto dai conservatori.

Quale è lo sce­na­rio in caso di scon­fitta di Erdo­gan?

Lo sce­na­rio pos­si­bile oscilla tra un colpo di stato e un governo di coa­li­zione. Akp sarà sem­pre il primo par­tito turco e non potrà certo stare fuori dal governo. Il par­tito di Erdo­gan dovrà tro­vare un accordo con i kema­li­sti (Chp) e i nazio­na­li­sti (Mhp) per for­mare un nuovo governo, soprat­tutto in un con­te­sto di così alta ten­sione politica.

Che ruolo avrà il Pkk che ha dichia­rato il ces­sate il fuoco?

C’è un disac­cordo tra i lea­der del Pkk in merito a cosa fare in que­sta fase. Il gra­vis­simo atten­tato di Suruç ha dato un pre­te­sto a Erdo­gan per attac­carli. Que­sto ha pro­vo­cato una grave spac­ca­tura nella lea­der­ship del partito.

C’è una rela­zione tra la guerra civile siriana e gli atten­tati?

L’intervento russo in Siria pre­oc­cupa mol­tis­simo i tur­chi per­ché sta azze­rando il loro piano di sta­bi­lire una zona di con­trollo in Siria dove ope­rare libe­ra­mente. Le auto­rità tur­che con­ti­nuano a com­bat­tere con­tro i kurdi per­ché il Pkk vuole arri­vare a con­trol­lare il con­fine tra Tur­chia e Siria.

Come stanno agendo gli Usa?

Gli Stati uniti non hanno una poli­tica coe­rente in Medio oriente: rea­gi­scono agli eventi. Pare ci sia un tacito accordo tra Washing­ton e Mosca che va con­tro gli inte­ressi tur­chi. Gli Stati uniti appog­giano la Tur­chia attra­verso la Nato. Anche Washing­ton ora sa che le cose non pos­sono andare avanti così e cerca una solu­zione poli­tica tem­po­ra­nea per unire gli sforzi con­tro Isis.

La Tur­chia può aggiun­gersi alla lista degli stati fal­liti, come Siria e Libia?

No, la tra­di­zione sta­tale e le isti­tu­zioni tur­che sono forti. Non esi­ste nes­suna pos­si­bi­lità remota di fal­li­mento dello stato turco. La Tur­chia non è la Siria.

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27.7.2015 «Erdogan vuole arrivare a elezioni anticipate»

Come valuta la crea­zione di que­sta «safe-zone» tra Tur­chia e Siria?

È il primo passo per sta­bi­lire una zona di con­trollo turco in ter­ri­to­rio siriano. La neces­sità è tenere sotto con­trollo il flusso di rifu­giati. Gli Usa hanno oppo­sto resi­stenza a que­sto pro­getto, ora le auto­rità tur­che potranno con­trol­lare le atti­vità delle forze siriane. E pos­sono col­pirle quando vogliono. Ein que­sto modo non sarà neces­sa­rio attac­care i kurdi siriani.

Le auto­rità tur­che stanno col­pendo lo Stato isla­mico (Isis) o il par­tito dei lavo­ra­tori kurdi (Pkk)?

Fin qui le auto­rità tur­che sono state indul­genti con Isis. Hanno per­messo l’apertura del con­fine tra Tur­chia e Siria ren­dendo pos­si­bile che armi e mili­ziani del gruppo arri­vas­sero in Siria e Iraq. Non solo, hanno per­messo ai jiha­di­sti di con­trab­ban­dare il petro­lio estratto nelle città da loro con­trol­late e di farlo arri­vare in Tur­chia. Eppure Erdo­gan è stato sor­preso dal grave atten­tato di Suruç e ha deciso di col­pire Isis. Di certo Ankara non vuole dare una mano ai kurdi o a quello che chia­mano ter­ro­ri­smo kurdo. Col­pire il Pkk è impor­tante per le dina­mi­che tur­che dopo la vit­to­ria elet­to­rale del par­tito del Popolo (Hdp). Attac­can­dolo si può andare a nuove ele­zioni in un con­te­sto di richiamo al nazio­na­li­smo turco che può por­tare bene­fi­cio al par­tito di Erodgan.

Per Akp è impor­tante col­pire l’Isis?

Le auto­rità tur­che sono state fin qui estre­ma­mente ambi­gue. Col­pire il regime di Bashar al-Assad e i kurdi è stato fin qui più impor­tante che com­bat­tere l’Isis. Hanno così tol­le­rato la pre­senza dei jiha­di­sti in ter­ri­to­rio turco fino all’attacco di Suruç. A que­sto punto non è tanto impor­tante che bom­bar­dino Isis ma fino a che punto met­te­ranno in sicu­rezza il con­fine poroso tra Tur­chia e Siria. Per i cal­coli poli­tici di Erdo­gan, Isis è utile per­ché tiene alta la minac­cia sugli sciiti e al-Assad. Qual­cosa come lo Stato isla­mico deve esi­stere. Sono stu­pe­fatto che Isis abbia orche­strato l’attacco di Suruç inne­scando la rea­zione turca.

Que­sto attacco con­tro il Pkk segna la fine del pro­cesso di pace?

Il pro­cesso di pace negli ultimi anni non è avan­zato. Era in piedi un ces­sate il fuoco ma senza pro­gressi veri nel nego­ziato. Se non c’è volontà di ripren­dere il pro­cesso di pace, si può con­si­de­rare come con­cluso. Erdo­gan lo fa per van­taggi elet­to­rali: punta a ele­zioni anti­ci­pate. I poli­tici di Akp e anche chi appog­gia Fetul­lah Gulen (sheykh in esi­lio negli Usa, ndr) sono con­tro il nazio­na­li­smo kurdo. Attac­cando il Pkk, Erdo­gan crede che i voti dei nazio­na­li­sti tor­ne­ranno ad Akp.

Fino a che punto col­pendo il Pkk Erdo­gan punta ad impau­rire la base elet­to­rale della sini­stra kurda turca di Hdp?

I due par­titi hanno radici comuni. Non sap­piamo fino a che punto Hdp è legato all’apparato mili­tare del Pkk. La prin­ci­pale fonte del suc­cesso elet­to­rale di Hdp è il voto dei kurdi con­ser­va­tori che hanno vol­tato le spalle al par­tito di Erdogan. Il cal­colo poli­tico del pre­si­dente turco è che com­bat­tendo con­tro il Pkk que­sti voti pos­sono tor­nare al suo partito.

Per­ché i kurdi ira­cheni di Bar­zani non sono insorti con­tro gli attac­chi tur­chi alle basi del Pkk in Iraq?

Bar­zani ha sem­pre avuto una posi­zione ambi­gua sul Pkk. I kurdi ira­cheni dipen­dono dagli aiuti eco­no­mici turchi. In altre parole hanno biso­gno di Ankara più che del Pkk. Ma di certo non pos­sono fare appello al nazio­na­li­smo kurdo se si mostrano nemici del Pkk. Per que­sto pre­fe­ri­scono man­te­nere la loro ambiguità.

Pensa che tutto que­sto sia una con­se­guenza dell’accordo sul nucleare rag­giunto nelle scorse set­ti­mane a Vienna con l’Iran?

Sì, ha aperto pos­si­bi­lità che prima non c’erano, di coin­vol­gere l’Iran in azioni coor­di­nate nella regione. Potrebbe favo­rire la solu­zione della guerra civile in Siria. L’intesa riflette la deci­sione degli Stati uniti di non con­ti­nuare a iso­lare l’Iran. L’Arabia Sau­dita non è più così impor­tante, da for­ni­tore di petro­lio è diven­tato un acqui­rente di armi, è meno pre­oc­cu­pante di un tempo e que­sto raf­forza l’Iran e avvia un pro­cesso di cam­bia­mento delle alleanze di Stati uniti e occi­dente. Di sicuro por­terà a un riav­vi­ci­na­mento tra Stati uniti e Russia.

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13.4.2015  «Iran isolato per troppo tempo»

Quali potreb­bero essere gli effetti sulle divi­sioni tra sun­niti e sciiti dell’accordo pre­li­mi­nare sul nucleare?

Tutte le prin­ci­pali crisi regio­nali coin­vol­gono anche l’Iran. Gli aya­tol­lah hanno un’influenza tale che se si vuole otte­nere qual­cosa prima di tutto biso­gna nego­ziare con loro. Certo i sau­diti non lo vorrebbero.

Il riav­vi­ci­na­mento tra Teh­ran e Stati uniti potrebbe risol­vere le crisi regionali?

I sau­diti vedono il riav­vi­ci­na­mento tra Stati uniti e Iran come una minac­cia. L’amministrazione Obama invece lo con­si­dera come una pos­si­bile solu­zione su vari fronti. Se l’accordo sul nucleare va in porto, gli Stati uniti ini­zie­ranno a fare accordi siste­ma­tici con l’Iran. Sau­diti e israe­liani sono pre­oc­cu­pati di que­sto. Per que­sto Neta­nyahu ha cer­cato in tutti i modi di influen­zare i nego­ziati per il nucleare

Que­sto deter­mi­nerà una più estesa influenza ira­niana sulla regione?

L’Iran è stato iso­lato per troppo tempo. Ma soprat­tutto dopo la guerra in Iraq ha sta­bi­lito un’influenza nella regione che prima era limi­tata all’alleanza con il regime siriano e al ponte con Hez­bol­lah in Libano. Da quel momento, l’Iran ha costruito una rete di influenza e di con­trollo nella regione.

Dopo l’arresto di due pre­sunti uffi­ciali delle guar­die rivo­lu­zio­na­rie ad Aden, crede che i legami tra auto­rità ira­niane e Hou­thi in Yemen si stiano rafforzando?

I mul­lah sciiti con­trol­la­vano il paese negli anni Ses­santa. L’Arabia Sau­dita ha ini­ziato ad esten­dere la sua influenza impo­nendo in Yemen la scuola sala­fita, waha­bita che fino a quel momento era aliena nel paese. Sono nate isti­tu­zioni e opere cari­ta­te­voli come risul­tato di que­sto. Ma l’antagonismo tra sun­niti e sciiti è stato solo ora tra­sfor­mato in scon­tro con­fes­sio­nale. I lea­der Hou­thi anda­rono in Iran negli anni Set­tanta ma solo per una visita poli­tica. Non hanno mai scelto la strada della Repub­blica islamica.

Per­ché ora que­sto anta­go­ni­smo è stato esa­spe­rato tanto da sfo­ciare in una guerra?

A esa­spe­rare que­sto anta­go­ni­smo è stato il soste­gno sau­dita al par­tito dei Fra­telli musul­mani in Yemen (al-Islah). Que­sto dimo­stra che i sau­diti sosten­gono e oppon­gono la Fra­tel­lanza in rela­zione allo spa­zio e al tempo. Per esem­pio quando i Fra­telli musul­mani in Egitto erano con­tro Nas­ser, i sau­diti li soste­ne­vano. Ora appog­giano al-Islal in Yemen. Ma l’impressione è che non sia un par­tito forte.

Pur senza un legame orga­nico con l’Iran, gli Hou­thi sem­brano molto forti, è così?

Gli Hou­thi sono soste­nuti dall’Iran ma rispetto ad Iraq e Siria non esi­ste un col­le­ga­mento orga­nico. Gli Hou­thi non hanno le stesse carat­te­ri­sti­che di sciiti ira­cheni e siriani. Nel caso yeme­nita il set­ta­ri­smo sciiti con­tro sun­niti è diretta respon­sa­bi­lità dell’Arabia Sau­dita e del suo oppor­tu­ni­smo. Per il momento gli Hou­thi hanno suc­cesso soprat­tutto gra­zie al soste­gno dell’ex pre­si­dente Abdal­lah Saleh. Per que­sto il popolo yeme­nita non difende il regime e non sem­bra con­tro gli Hou­thi e così i sau­diti e i loro alleati bom­bar­dano il paese. Saleh con­ti­nua ad essere molto forte.

Si può fare un paral­lelo con il soste­gno tra Stato isla­mico e Baath in Iraq?

Il soste­gno che lo Stato isla­mico (Is) ha tro­vato nel Baath in Iraq ha seguito un mec­ca­ni­smo molto diverso. I baa­thi­sti erano mar­gi­na­liz­zati, Saleh è molto potente.

Anche al-Qaeda in Yemen è molto forte…

Sì, quale sia il suo peso rispetto allo Stato isla­mico (Is) è dif­fi­cile dirlo. In Yemen Is è un brand non un’organizzazione impor­tante. E spesso si sovrap­pone ad al-Qaeda nella Peni­sola araba (Aqap) che com­batte con­tro gli sciiti e il governo.

Si può fare anche su que­sto un paral­lelo con l’Iraq?

Non si può para­go­nare la pre­senza di Is in Iraq e in Yemen. In Iraq hanno occu­pato un gran ter­ri­to­rio ed è stato molto dif­fi­cile scac­ciarli. In Siria e Iraq l’Is con­trolla isti­tu­zioni ter­ri­to­riali, in Yemen si raf­for­ze­ranno se con­ti­nue­ranno a cemen­tare i loro legami con al-Qaeda. Il punto stra­te­gico è il con­trollo del porto di Aden. Una ragione per cui i sau­diti sono inter­ve­nuti è il legame con gli ira­niani. Il risul­tato è un altro paese in rovina men­tre la solu­zione poli­tica si allon­tana sem­pre di più.

Ci sono dif­fe­renze tra gli attac­chi di Nas­ser in Yemen e quelli di al-Sisi?

Al-Sisi si pre­senta come Nas­ser ma non lo è. Nas­ser in Yemen com­bat­teva con­tro i sau­diti ora l’Egitto appog­gia l’Arabia Sau­dita. Al-Sisi per­se­gue una poli­tica aggres­siva. In Libia non avviene lo stesso che in Yemen. Per l’Egitto, inter­ve­nire in Libia signi­fica con­trol­lare il suo con­fine occi­den­tale, fer­mare i traf­fici delle orga­niz­za­zioni jiha­di­ste, insomma in quel caso ci sono inte­ressi in tema di sicu­rezza nazio­nale che non ci sono in Yemen.

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8.10.2014 Il legame Pkk-kurdi siriani terrorizza Erdogan

Per­ché la Tur­chia non inter­viene con la coa­li­zione anti-Isis?

Il governo di Ankara non fa molto con­tro l’Isis, è pro­fon­da­mente con­tra­riato che le rivolte in Medio Oriente non siano andate verso un risve­glio isla­mico che avrebbe favo­rito gli inte­ressi tur­chi. È stato coin­volto in cam­pa­gne anti-sciite ma allo stesso tempo non vor­rebbe i jiha­di­sti di Isis ai suoi con­fini. I tur­chi non stanno nella coa­li­zione anti-Isis con il pre­te­sto che i jiha­di­sti ten­gono diplo­ma­tici tur­chi in ostag­gio. È una scusa, in verità non vogliono essere coinvolti.

Così è solo con­flitto settario?

Ora il con­flitto è aper­ta­mente set­ta­rio e più pola­riz­zato che mai. La divi­sione set­ta­ria tra sciiti e sun­niti è diven­tata una que­stione regio­nale e gene­rale dopo l’inizio della guerra civile siriana. I poteri regio­nali sono stati for­te­mente inter­ven­ti­sti in Siria e per esten­sione in tutta la regione. I gruppi mili­tanti sono aper­ta­mente sun­niti e anti-sciiti.

E dopo la bat­ta­glia di Kobane in Siria, anche i kurdi si divi­dono.
I kurdi sono stati colti di sor­presa, non sono ben equi­pag­giati, non sono pre­pa­rati, non hanno un comando uni­fi­cato, sono divisi tra i gruppi con­trol­lati da Mas­sud Bar­zani, gover­na­tore della regione auto­noma del Kur­di­stan ira­cheno, e dal Par­tito demo­cra­tico unito in Siria (Pyd). Molti com­bat­tenti kurdi, spesso com­mer­cianti, sono sol­dati part-time. Ma adesso uno stato kurdo ira­cheno è possibile.

Sem­bra com­patto invece il fronte Pkk-Pyd?
Le forze kurde com­bat­tenti siriane sono affi­liate del Par­tito dei lavo­ra­tori kurdi (Pkk), ma scon­tano la dif­fi­denza tra Bar­zani e Abdul­lah Oca­lan (lea­der Pkk in pri­gione) e la con­tra­rietà del governo turco che sarebbe pronto ad accet­tare l’indipendenza del Kur­di­stan ira­cheno ma non a chiu­dere un occhio sull’affiliazione tra Pkk e kurdi siriani.

Come è pos­si­bile che con­ti­nuino ad arri­vare finan­zia­menti all’Isis nono­stante i raid aerei?

Le mili­zie sala­fite sono state finan­ziate dall’Arabia sau­dita, in stretto coor­di­na­mento con gli Stati uniti. Seb­bene il governo sau­dita abbia paura di loro, i dona­tori sau­diti vogliono con­ti­nuare a ucci­dere gli sciiti e sono felici dell’avvento di Isis con­tro il regime sciita ira­cheno, e che com­batta anche in Siria. L’establishment sau­dita a livello gover­na­tivo dice di voler com­bat­tere i jiha­di­sti den­tro la coa­li­zione inter­na­zio­nale ma busi­ness­men ed esta­blish­ment reli­gioso vedono la bat­ta­glia con­tro gli sciiti ancora determinante.

Men­tre l’Iran con­ti­nua a com­bat­tere l’Isis in Iraq?

I prin­ci­pali com­bat­tenti in Iraq sono le mili­zie sciite orga­niz­zate dall’Iran. Il capo delle bri­gate al Quds, Qas­sem Sulei­mani, è stato in Iraq a guida delle mili­zie sciite. Lui coor­dina le mili­zie sciite in Iraq e Siria. Con il suc­cesso spet­ta­co­lare di Isis, dopo la presa di Mosul, gli ira­niani hanno rea­liz­zato che dove­vano tro­vare alter­na­tive al pre­mier Nuri al-Maliki e ci sono riu­sciti per­ché i gruppi poli­tici al potere in Iraq sono molto più fluidi che in Siria. Il regime ira­niano è poi impe­gnato, come quello turco, a con­te­nere il nazio­na­li­smo kurdo con un tacito accordo con il Par­tito dell’Unione kurda in Iraq di Jalal Tala­bani per­ché non attra­versi mai i con­fini iraniani.

Quali mec­ca­ni­smi hanno con­dotto l’Iraq al collasso?

Molta respon­sa­bi­lità dell’avanzata dello Stato isla­mico è della poli­tica di al-Maliki, dopo la scon­fitta di al-Qaeda in Iraq. Il pre­mier ira­cheno ha ini­ziato a per­se­gui­tare le forze tri­bali che ave­vano com­bat­tuto al-Qaeda. Nel suo regime i mini­steri si divi­de­vano — con le risorse — su base elet­to­rale, tra sciiti, sun­niti e alcuni kurdi. Tutto è andato rubato, a comin­ciare dai pro­venti del petro­lio. Per clien­te­li­smo e cor­ru­zione, il governo è stato para­liz­zato. Dal 2011, i sun­niti sono stati gra­dual­mente esclusi da que­ste spartizioni.

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29.11.2013  “Erdogan come Putin”

«Piazza Tak­sim somi­glia più all’opposizione a Putin che ai movi­menti di piazza Tah­rir o Occupy», assi­cura al mani­fe­stolo sto­rico dell’Università di Bir­k­beck, Sami Zubaida. «Esi­stono dei punti di con­tatto con le rivolte nel mondo arabo: i gruppi sociali coin­volti (gio­vani, edu­cati, seco­lari, di classe media, urbani), le richie­ste (libertà, dignità, difesa dell’ambiente). Ma le dif­fe­renze sono evi­denti: i movi­menti in Medio oriente sono con­tro dit­ta­tori, arri­vati al potere con colpi mili­tari, con una base elet­to­rale limi­tata. Il pre­mier turco Erdo­gan invece ha un grande seguito nel popolo turco, soprat­tutto nella peni­sola ana­to­lica. Ci sono paral­leli con i movi­menti euro­pei, ma in que­sto caso il governo turco è più auto­ritario. Per que­sto, il dis­senso di Istan­bul è simile all’opposizione al pre­mier Vla­di­mir Putin in Rus­sia. Erdo­gan con­trolla il dis­senso (un gran numero di gior­na­li­sti sono in pri­gione), e i media nazio­nali non par­lano delle pro­te­ste. Il regime ha messo sotto con­trollo il sistema giu­di­zia­rio e l’esercito: il governo con­trolla i cen­tri di potere e non ha rivali. Non solo, per l’ampia base elet­to­rale, non ha nep­pure biso­gno di for­mare coa­li­zioni per governare.

Nono­stante le ini­zia­tive legi­sla­tive dell’esecutivo, il potere dell’esercito turco resta esteso?

No, dal momento che non può più minac­ciare un colpo di stato ha perso le pre­ro­ga­tive che aveva negli anni Novanta, come difen­sore del Kema­li­smo. Per le pres­sioni, che sono venute soprat­tutto dall’Unione euro­pea, l’esercito turco non è più il con­trol­lore del governo.

Invece, cre­sce una spinta sin­da­cale, di sini­stra e di oppo­si­zione alla gestione della crisi siriana in piazza Taksim?

In Tur­chia esi­ste il con­flitto sociale. Il capi­ta­li­smo reale e poli­ti­che neo-liberali hanno dato bene­fici solo ad alcuni set­tori della popo­la­zione. E pro­prio que­sto ha moti­vato la pro­te­sta: dall’intenzione di sacri­fi­care lo spa­zio pub­blico (eli­mi­nare un parco) per lo svi­luppo degli inte­ressi della pro­prietà affa­ri­stica (costruire un cen­tro com­mer­ciale). Anche la sini­stra turca è pre­sente in piazza, ma la mag­gio­ranza dei mani­fe­stanti non è orga­niz­zata poli­ti­ca­mente. D’altra parte, la sini­stra degli anni Set­tanta è stata disat­ti­vata dal colpo di stato del 1981 e da allora non si è ancora ripresa. Ma i più duri oppo­si­tori di Erdo­gan sono gli Alevi (20% della popo­la­zione turca): una mino­ranza oppressa, vicina ai par­titi di sini­stra, ai kurdi, e di ispi­ra­zione sciita. Gli alevi fanno fronte comune con gli Ala­witi siriani (mino­ranza di cui fa parte il pre­si­dente Assad, ndr) con­tro l’alleanza sunnita.

Le pro­te­ste sono un’opposizione alle poli­ti­che eco­no­mi­che del par­tito Svi­luppo e Giu­sti­zia di Erdo­gan (Akp)?

Ci sono varie cate­go­rie di capi­ta­li­sti tur­chi: le vec­chie classi di indu­striali, che hanno costruito imperi azien­dali, sfi­date da pic­cole imprese, soprat­tutto in Ana­to­lia. Pro­prio tra le “tigri dell’Anatolia”, che con­trol­lano imprese agri­cole e tec­no­lo­gi­che, nelle zone rurali della peni­sola, nei pic­coli cen­tri di pro­vin­cia si trova la nuova bor­ghe­sia che è la colonna ver­te­brale dell’Akp. Lo scon­tro è stato inne­scato dalle poli­ti­che di Erdo­gan che ha usato il suo potere per dare una nuova forma alla società e ven­di­carsi sui kema­li­sti, con il dra­stico con­trollo su beni sim­bo­lici, come alcool e diver­ti­menti: punti forti della bor­ghe­sia secolare.

Eppure l’Akp gode ancora di ampio soste­gno popo­lare. Erdo­gan farà con­ces­sioni alla piazza?

Sarei sor­preso se Erdo­gan con­ce­desse qual­cosa alla piazza. Il pre­mier non vuole mostrare cedi­menti. L’unico punto debole di Erdo­gan potrebbe essere deter­mi­nato dalla per­dita del soste­gno del movi­mento reli­gioso con­ser­va­tore Gülen, di Fetul­lah Gülen, che nasce pro­prio dal risen­ti­mento rurale verso le metro­poli. E dalle cri­ti­che del pre­si­dente Abdal­lah Gül o da spinte interne al suo par­tito che potreb­bero por­tare ad un par­ziale cam­bia­mento delle poli­ti­che dell’Akp.

Ma agli Stati Uniti non piace que­sta deriva auto­ri­ta­ria in Turchia.

La Tur­chia è un alleato essen­ziale per gli Stati Uniti, uffi­cial­mente demo­cra­tico, aperto al busi­ness. Pre­oc­cu­pano gli spet­tri auto­ri­tari del regime che non pos­sono far pia­cere agli Usa che vedono nella Tur­chia una com­po­nente essen­ziale dell’alleanza sun­nita con Ara­bia Sau­dita e Qatar.

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